26 novembre 2014

LO "SPECISMO" LA PRIMA FORMA D'ODIO CHE CI VIENE INSEGNATA

di Stefano Bovone

In questo periodo sempre più spesso sentiamo giocare sul termine immigrazione e clandestinità,per cercare, sia da una parte che dall’ altra di recuperare quella parte di elettorato che si sente confusa, facendo leva su una delle tante forme d'odio che gli umani hanno partorito. 

Non bisogna essere dei geni per capire che la popolazione è spaccata sul tema dell’ integrazione e in un periodo di crisi come questo, la tematica diventa sempre più calda e pericolosa e giocare sull'ignoranza porta voti e popolarità ma non affronta i problemi o li affronta nel modo sbagliato.

Non voglio entrare nel merito della discussione, ma voglio portare l’attenzione a come tematiche come queste generino, innegabilmente, una serie di divisioni che influenzano in modo negativo la vita su questo pianeta.

Vi voglio parlare di quello che è, a mio avviso, il centro da dove partono tutte le varie discriminazioni, lo specismo, quella forma di prevaricazione della specie umana nei confronti di tutte le altre specie esistenti, accettata praticamente da tutti e talmente radicata da passare inosservata.

Lo specismo è la prima forma di odio che ci viene insegnata fin da quando siamo piccoli.

Pensiamo soltanto alla suddivisione degli animali in gruppi di serie a e di serie b, il cane e il gatto vanno bene per giocarci, il vitello,il maiale e altri per essere mangiati.

Andando ad aprire wikipedia al termine specismo  troviamo come spiegazione:” è l'attribuzione di un diverso valore e status morale agli individui a seconda della loro specie di appartenenza.
Il termine fu coniato nel 1970 dallo psicologo britannico Richard Ryder, per calco da razzismo e sessismo, con l'intento di descrivere in particolare gli atteggiamenti umani che coinvolgono una discriminazione degli individui animali non umani, inclusa la concezione degli animali come oggetti o proprietà.”

Il filosofo Peter Singer definisce lo specismo nel seguente modo:“Un pregiudizio o attitudine di una specie che parteggia per gli interessi dei propri membri, a discapito di quelli che appartengono ad altre specie.”

Per millenni le varie religioni antropocentriche hanno plasmato la mente dell’uomo facendogli credere di essere la creatura più importante dell’universo, la riproduzione fedele di quella che possiamo immaginare possa essere l’immagine di un ipotetico dio.

Nella realtà dei fatti,invece, la specie umana non conta veramente nulla per garantire l’equilibrio naturale, la nostra scomparsa non comporterebbe nessun cambiamento negativo alle sorti del pianeta e alla vita delle altre specie, anzi porterebbe solo effetti positivi.

Pensiamo soltanto che un piccolo insetto come l’ape, se scomparisse, altererebbe in modo definitivo e irreparabile la vita su questo pianeta come la conosciamo oggi(leggi qui) e comporterebbe la morte di quasi tutte le specie viventi;differentemente la scomparsa dell’uomo non altererebbe nulla, anzi aiuterebbe la ripresa degli equilibri naturali alterati.

Non siamo quindi noi la specie più importate,differentemente da quello insegnatoci, il nostro approccio verso le altre creature viventi dovrebbe essere rispettoso, quasi reverenziale,visto che dipendiamo da moltissime di esse e non parlo per via del fatto che molti di noi si alimentano con le loro carni, anzi quell'abitudine contribuirà a far ammalare la specie umana e a decimarla e solo un futuro vegano potrà garantire cibo abbondante per tutti.

Se venisse insegnato alle nuove generazioni che la differenza di specie non costituisce una diversità di diritti alla vita o ad una capacità differente di soffrire, non esisterebbero nemmeno tutte le altre discriminazioni perché sarebbero sicuramente più facili da superare visto che si tratta di individui appartenenti alla stessa specie.

Non importa di che colore, sesso, religione, orientamento sessuale o specie appartieni, conta solo la capacità di tutti gli esseri viventi di provare dolore e di aver diritto a vivere.

La sofferenza degli animali deve essere considerata tanto dolorosa quanto quella degli esseri umani.

Essere uccisi capita raramente in modo indolore, perciò non dovremmo mettere fine ad una vita felice, sia essa consapevole o no.

Tenendo conto che molto raramente ci potremo trovare in situazioni a dover essere chiamati a decidere tra la vita di un animale e quella di un essere umano, sarebbe meglio, di regola non uccidere mai, indipendentemente dalla capacità intellettuale dell’individuo in questione.

Tanto l’uomo quanto l’animale non esistono per essere utilizzati.

Gli animali del mondo esistono per essi stessi.

Se noi riusciremo a superare il concetto specista di crederci superiori perché appartenenti alla specie umana anche tutti le altre discriminazioni verranno superate facilmente e si aprirà la strada per la vera pace con tutti gli esseri viventi.


 "Quale mortale penserebbe di maltrattare una creatura umana, se verso esseri che non sono della sua razza e della sua specie avesse costantemente professato la dolcezza e l'umanità?" - Plutarco (45 - 120/127 D.C.)